La categoria degli immobili di interesse storico presenta molto spesso dei dubbi e delle difficoltà di interpretazione dal punto di vista fiscale: è proprio per questo motivo che l’Agenzia delle Entrate ha provveduto a pubblicare la risoluzione 28/E due giorni fa, cercando di portare un maggiore ordine e una migliore chiarezza in relazione al reddito di quei fabbricati che sono soggetti a un vincolo di interesse storico o artistico. Come era già noto in base alla legge 413 del 1991, questo specifico reddito viene a essere determinato applicando la minore tariffa d’estimo relativa alle abitazioni. Che cosa bisogna tenere bene a mente per quel che concerne le dichiarazioni di questo anno? Le principali perplessità derivavano proprio dal testo normativo di venti anni fa, tanto che già nel 2005 si è arrivati a una importante pronuncia da parte della Corte di Cassazione.
Quest’ultima, infatti, aveva stabilito che la determinazione reddituale manteneva il proprio valore sia nel caso di una locazione immobiliare a scopo abitativo, sia nell’ipotesi di un utilizzo differente da quello appena elencato. L’anno successivo, poi, la nostra amministrazione finanziaria ha voluto sottolineare quali fossero le reali norme applicative del caso di specie. Si è infine giunti al documento più recente, quello del 9 marzo scorso, il quale ha apportato degli ulteriori chiarimenti.
Entrando maggiormente nel dettaglio, c’è da dire che coloro che detengono degli immobili di interesse storico o artistico e che sono stati appunto locati, hanno la possibilità di effettuare una compilazione tutta particolare del quadro dei redditi e dei fabbricati all’interno del 730, visto che possono anche non indicare qual è l’importo effettivo del loro canone di affitto. Tutto ciò vuole semplicemente significare che i dati da riportare sono soltanto quelli di identificazione del contribuente, oltre al codice residuale numero 9, il quale presenta proprio una incompatibilità di fondo con lo stesso canone di locazione.
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