Un’azienda che fa affari e prende le decisioni in Italia, non può ingannare il Fisco andando invece a “trasferire” in un Paese estero non solo la sede, ma anche tutti i conti correnti bancari, le utenze, e tutti i verbali relativi alle assemblee e tutti gli altri elementi formali. Questo è quanto, in particolare, è emerso a Savona, dove la competente Commissione tributaria provinciale ha dato ragione all’Agenzia delle Entrate in merito ad un’azienda ligure con la residenza palesemente “esterovestita”. Secondo quanto rivela la Direzione regionale dell’Agenzia delle Entate della Liguria con una nota, la decisione dei giudici ha permesso al Fisco, tra imposte e sanzioni, il recupero di somme pari ad oltre un milione di euro.
La società ligure nel mirino del Fisco, infatti, pur facendo affari nel savonese aveva la propria sede nel Lussemburgo; pur tuttavia, anche a seguito di verifiche effettuate presso l’abitazione di un socio e dell’amministratore della società, le “mail decisionali” partivano dall’Italia e venivano però messe nero su bianco, nei relativi documenti, in Lussemburgo.
Ad insospettire il Fisco, inoltre, era anche il modo in cui era organizzato il Consiglio di Amministrazione della società ligure; il CdA, infatti, era misto, ovverosia composto da cittadini residenti in Italia e da cittadini residenti nel Lussemburgo. Ma con la piccola discriminante che i componenti lussemburghesi avevano l’obbligo della firma congiunta con gli amministratori italiani, mentre per questi ultimi vigeva il potere della firma disgiunta.
A conferma di tutto ciò, inoltre dalle indagini e dai controlli dell’Amministrazione finanziaria dello Stato è emerso come le Assemblee della società ligure si svolgessero sistematicamente in Lussemburgo, ma senza la presenza dei soci e tanto meno degli amministratori italiani. Di contro, quando c’erano da sottoscrivere atti di trasferimento di quote, e tutti gli altri negozi giuridici, le registrazioni e le stipule avvenivano rigorosamente in Italia.
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