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Firmata la Convenzione Italia-USA sul fisco

 Dopo ben dieci anni è stata finalmente ratificata la convenzione tra Italia e Stati Uniti, firmata nel 1999 con il preciso intento di evitare le doppie imposizioni nel settore delle imposte sul reddito, ma anche di prevenire le evasioni fiscali. Nel testo appena approvato (per la precisione si tratta della legge 20 del 2009) è stata anche inserita una clausola di salvaguardia per l’applicazione delle disposizioni più favorevoli delle normative precedenti, in particolare la legge 763 del 1985 che è stata proprio sostituita dalla novella. A differenza del caso italiano, negli Stati Uniti si era riusciti già nel 1999 ad approvare una risoluzione interna relativa alla convenzione. Per quanto riguarda le principali novità introdotte dalla legge, anzitutto vi è la possibilità di un credito d’imposta estero parziale per l’Irap che è stata corrisposta dalle società statunitensi che operano in Italia: l’effetto di tale innovazione dovrebbe essere quello di eliminare le distorsioni derivanti dal fatto che gli interessi passivi e il costo del lavoro non sono deducibili dalla base imponibile dell’imposta.

 


Inoltre, c’è da sottolineare l’ampliamento del novero di operazioni che non danno luogo all’attribuzione di utili ad una organizzazione registrata. Per quanto poi riguarda i dividendi, l’aliquota di tassazione in uscita verrà ridotta dal 10% al 5% per quelle partecipazioni tra il 25% e il 50%, mentre le partecipazioni tra il 10% e il 25% comporteranno un aumento dell’aliquota dal 10% al 15%.

 

Ci saranno novità anche nell’ambito degli interessi, i quali potranno essere assoggettati all’imposizione solo nello Stato in cui risiede il beneficiario. Tra l’altro, grazie alla nuova convenzione, i compensi per prestazioni professionali sono ora imponibili nello Stato della fonte solamente nel caso in cui la persona disponga in tale Stato di una base fissa per l’attività. Infine, è stata anche prevista la cosiddetta clausola “anti-abuso”, volta a non dare benefici convenzionali ai soggetti che pongano in essere comportamenti di “treaty shopping”.