Che stato di salute vive in questo momento la fiscalità dell’Unione Europea? Una pubblicazione congiunta di Eurostat e Taxud ne mette in luce i tratti salienti, quindi cerchiamo di capire cosa può essere associato oggi alle tasse comunitarie. Anzitutto, un dato emerge su tutti, ovvero il fatto che la pressione fiscale sia sostanzialmente diminuita nel complesso dei ventisette stati membri. Nel dettaglio, si è passati dal 39,3% del prodotto interno lordo nel 2008 al 38,4% dell’anno successivo, non un grandissimo ridimensionamento e soprattutto un evento dovuto in larga misura al calo del pil stesso. Il documento di Eurostat può essere suddiviso in tre sezioni: nella prima viene infatti elencato l’andamento generale del fisco nel Vecchio Continente, poi si passa alla classifica dal punto di vista tributario e infine sono state stilate ventinove schede paese per capire meglio, nazione per nazione, quali sviluppi si sono effettivamente verificati.
Le novità di quest’anno sono diverse, ma in particolare occorre sottolineare l’effettiva pressione fiscale per le corporazioni che non appartengono al settore finanziario. Nel dettaglio, questo dato è fin troppo variabile e in alcuni casi ancora troppo alto: ad esempio, se Romania, Lettonia e Irlanda possono vantare una percentuale inferiore al 30%, così come accade anche in altri paesi baltici o dell’Europa orientale, lo stesso non può dirsi della Scandinavia, dato che la Danimarca e la Svezia sono pericolosamente vicine al 50%. Un forte impatto è stato, senza dubbio, quello dell’Imposta sul Valore Aggiunto. La tassazione sui consumi è aumentata rispetto ai primi anni della crisi economica, tanto che in questo 2011 si è ormai raggiunta una aliquota media del 20,7%: metà degli stati membri hanno deciso di rialzare l’Iva nei quattro anni compresi tra il 2008 ed oggi, in primis l’Ungheria (dal 20 al 25%). Infine, la Svezia, il Belgio e i Paesi Bassi si sono caratterizzati per le aliquote più alte in assoluto dal punto di vista dei redditi.