Non si può dire che quello attuale sia il periodo più felice per le cosiddette società di comodo: come prevede la manovra finanziaria, infatti, la loro esistenza è divenuta piuttosto pesante dal punto di vista del sostentamento economico, tanto che la principale tassa di riferimento, l’Ires (Imposta sul Reddito delle Scoietà) è stata innalzata addirittura fino al 38%. Come è noto, queste società sono quelle che il legislatore ritiene non operative e costituite solamente per dei fini elusivi; di solito, poi, il reddito che viene attribuito ad esse è quello minimo. La disciplina di base, comunque, si trova all’interno di uno specifico testo normativo, la Legge 724 del 1994 (“Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”), in parte modificata ora proprio dalla manovra citata in precedenza.
Le novità sono diverse, ma se ne posso citare due in particolare che rendono l’idea di quello che si prospetta per il futuro: il già citato aumento dell’imposizione fiscale, per un totale di ben 10,5 punti percentuali (si è infatti passati dal precedente 27,5% all’attuale 38%), e l’assoggettamento alla disciplina delle società che non sono operative ampliato alle situazioni in cui la perdita dura per tre periodi d’imposta di seguito. La nuova aliquota si applica quindi a chiunque sia in possesso del requisito di non operatività. Ma come lo si desume esattamente?
Il test di operatività è il tipico metodo in questione, in quanto consente di raffrontare un valore effettivo (ricavi, aumenti di rimanenze e altri proventi) e un valore presunto (immobilizzazioni specifiche). Nell’ipotesi in cui il valore effettivo sia minore rispetto a quello presunto, allora la società viene considerata come “non operativa” e, di conseguenza, appartenente alla categoria delle società di comodo. Il 38% viene applicato nel periodo d’imposta che segue quello in corso alla data di entrata in vigore della legge; in tal caso, la rilevanza è fondamentale anche ai fini Irap e Iva.