Le auto di grossa cilindrata sono state ancora una volta al centro dell’attenzione della Corte di Cassazione per motivi strettamente fiscali: i giudici di Piazza Cavour sono stati infatti chiamati a pronunciarsi di recente su un fatto che riguardava un contribuente e l’atto impositivo emesso proprio in ragione del possesso della vettura in questione. Cosa è successo esattamente? L’avviso di accertamento che è stato citato in precedenza era stato notificato a tale soggetto a causa del suoi possesso di due automobili e di altre quote societarie, ragione per la quale si era deciso di avanzare un ricorso di fronte alla Commissione Tributaria Provinciale.
Il secondo grado aveva confermato la validità di questa misura tributaria, proponendo comunque il ricorso alla Suprema Corte. Il dibattito ha dunque riguardato il cosiddetto “accertamento sintetico”, vale a dire lo strumento che di solito viene sfruttato per rettificare i redditi delle persone fisiche. In pratica, il pomo della discordia è stato rappresentato dalla ricostruzione della vicenda, in particolare il contenuto induttivo degli elementi capaci di indicare la capacità contributiva. Secondo gli stessi ermellini, l’eccezione di merito non poteva essere considerata fondata, visto che l’Agenzia delle Entrate si era già impegnata a mettere in luce i redditi inadeguati della consorte di chi aveva presentato ricorso per quel che concerne la giustificazione della disponibilità dei beni.
In aggiunta, bisogna anche tenere conto che il possesso di due auto di grossa cilindrata e di quote relative a quattro società non potevano non destare attenzioni particolari. Come si è evinto in modo piuttosto evidente da questo terzo grado di giudizio, il Dpr 600 del 1973 prevede che si possa determinare in maniera sintetica il reddito dei contribuenti in base agli indicatori di capacità contributiva (tra essi rientrano anche le vetture e le compagnie di qualsiasi tipo), con i giudici che possono valutare esclusivamente le prove contrarie del contribuente.