Nel documento della spending review tra tagli e mobilità è stato preso di mira il pubblico impiego, che da diversi mesi è oggetto di discussione. L’Italia dopotutto si è dimostrato lo Stato degli sprechi ed il settore pubblico è ovviamente il principale indagato sotto questo aspetto.
Tra le novità del documento c’è sicuramente la mobilità obbligatoria per il pubblico impiego; la riduzione dello stipendio sarà pari all80% con licenziamento dopo i 2 anni se l’impiegato avrà trovato un altro impiego. La situazione attuale è riassunta banalmente in un “esubero del personale statale”, ed il taglio ai posti di lavoro viene quantificato in 24000 posti di cui il 20% sono dirigenti ed il 10% lavoratori pubblici.
Immancabili le critiche e le proteste dei sindacati; il reintegro dei lavoratori pubblici è il tema centrale del dibattito, che diventerà una protesta vera e propria prevista per il 28 settembre prossimo. In questa data è previsto uno sciopero generale del pubblico impiego, che facilmente però non risolverà la situazione che si è venuta a creare in anni di disinteresse totale. Al momento infatti, nonostante la rabbia dei diretti interessati, non vi sono alternative ed il pubblico impiego è da mesi destinato a subire quello che si è deciso con la spending review; se le tasse nel nostro Paese sono esagerate è anche perchè bisogna pagare posti di lavoro nel settore pubblico di cui si potrebbe fare a meno, ed a conferma di questa ipotesi ci sono le critiche avanzate verso gli assenteisti ed i nullafacenti.
Un problema che invece non viene quasi mai preso in considerazione riguarda la posizione dei sindacati; questi ormai hanno sempre meno potere e non riescono a tutelare i lavoratori che invece fanno ancora affidamento su di loro. Per il bene del futuro dell’occupazione sarebbe importante rivalutare la vera influenza dei sindacati prima di farci affidamento al 100%, ricevendo poi brutte sorprese.
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