La tassa sui telefonini viene ripristinata dalla Corte di Cassazione e i cittadini perdono la speranza di vedere riconosciuto i dovuti rimborsi da parte degli enti locali. L’attività di fornitura dei servizi di comunicazione resta comunque subordinato ad un regime autorizzatorio da parte della P.A. di conseguenza chi è titolare di un abbonamento dovrà comunque pagare la dovuta tassa di concessione governativa pari a 12,91 euro mensili per le utenze business e di 5,16 euro per le utenze private.
La sentenza della Corte di Cassazione ( n. 23052 del 14 dicembre 2012) ha di fatto ribaltato quella che era la giurisprudenza di merito dominante sino ad adesso. Ricordiamo che le cause hanno avuto luogo a seguito di ricorso inoltrato da alcuni comuni del Nord est, che nel corso degli anni hanno ottenuto una percentuale di sentenza favorevoli ad parte della giurisprudenza per una cifra di circa il 95 %. Le sentenze riprendono l’abrogazione implicita dell’art. 21 della tariffa allegata al dpr 641/1972 che prevede come atti soggetti a concessione governativa la licenza per l’impiego di apparecchiature territoriali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione. Secondo i comuni il regime di concessione è stato sostituito da quello concorrenziale, e di conseguenza si è passati da una licenza da parte della P.a. ad un contratto tra privati.
La Cassazione ha quindi stabilito che, nonostante la privatizzazione per fornire tali tipi di servizi occorre comunque la dovuta tassa di concessione. La licenza di stazione radio sarà pertanto sostituita da un contratto di abbonamento. Pertanto potrebbero essere presto annullate decine di sentenze emesse dal giudice di secondo grado, per un mancato introito per l’erario pari a circa 2,4 miliardi di euro.
Critici sul punto i rappresentanti dei Comuni dichiarando che anche il procuratore generale ha ravvisato l’illegittimità del tributo, visto che tali tipi di attività sono ormai considerate attività libere e non c’è alcuna prestazione dello Stato che giustifichi la tassa.
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