L’obbligo resta unicamente «per i pagamenti effettuati all’interno dei locali destinati allo svolgimento dell’attività di vendita o di prestazione di servizio». Quanto messo in uno schema di decreto del ministero dello Sviluppo Economico e inviato alla Banca d’Italia per il parere finale, inserisce una deroga rilevante all’uso del bancomat negli studi professionali, assoggettandolo al luogo dove avviene il pagamento. Soddisfa le richieste dei professionisti e limita l’idea di legge originario.
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Il governo aveva stabilito dal primo gennaio 2014 l’obbligo del Pos negli studi professionali. Moltissime le proteste dalle categorie dei professionisti. Sia il Cup (coordinamento unitario professioni), sia Confprofessioni, sia il consiglio Nazionale degli Ingegneri, si erano espressi contro questa norma che trovavano inutile perché dimostrerebbe la presunta «incomprensione verso il mondo delle professioni» che già adopera strumenti tracciabili come bonifici e assegni. A vincere sono state le lobby delle categorie che hanno fatto sì che quest’obbligo fosse di fatto annullato. Il testo del governo era finalizzato a contrastare l’evasione fiscale.
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Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni, sostiene che il pericolo è di un probabile aumento dei costi per i professionisti e di rendere loro la vita ancora più difficile in un momento di crisi. Il contante era già sparito sopra i mille euro. E chi ne avrebbe tratto beneficio non sarebbero i clienti finali ma «i grossi circuiti internazionali (come Visa) e in modo minore le banche con le loro carte di debito» i bancomat. Pertanto il ministero dello Sviluppo guidato da Flavio Zanonato ha provato un compromesso a metà: inserisce l’obbligo di Pos solo nei locali e ne ordina l’effettiva installazione solo per gli studi che hanno un fatturato più alto di 300mila euro all’anno.