In vista del pagamento dell’acconto Imu e Tasi da pagare entro il 16 giugno, appare molto utile dare un’occhiata dettagliata alla “cartina” della tassazione immobiliare, ricostruita partendo dai dati pubblicati nel volume «Gli immobili in Italia» (Entrate e Finanze) e dalle aliquote medie 2014 registrate dal Caf Acli.
I numeri, in questo caso, raccontano la tipologia di immobili esistenti, il loro utilizzo e l’incidenza del prelievo.
In Italia le abitazioni principali e le loro pertinenze costituiscono più di metà di tutti i fabbricati italiani, oltre 32 milioni di unità immobiliari registrate in catasto su un totale di 62.
Partendo dall’abolizione dell’Ici avvenuta nel 2008 e arrivando al debutto della Tasi nel 2014, passando per l’Imu e la mini-Imu, la fiscalità delle prime case riguarda la maggior parte delle famiglie italiane (e quindi degli elettori).
E questo spiega dunque gli sforzi dei governi e dei sindaci al fine di contenere la pressione fiscale sulle abitazioni principali, in uno scenario che ha visto passare le imposte sul possesso di immobili dai 9,2 miliardi del 2011 ai 25 dell’anno scorso. Ogni medaglia ha il suo rovescio, però, e in questo caso si tratta dell’aumento delle imposte sugli altri fabbricati, residenziali e non, da cui arriva l’80% del gettito. Le case affittate, quelle sfitte e quelle date in prestito ai parenti hanno subìto i ben noti rincari degli ultimi quattro anni. E ancora maggiori sono stati gli aumenti per i negozi, gli uffici e i fabbricati produttivi del gruppo catastale D (capannoni, impianti, centrali, cliniche, cinema). D’altra parte, gli immobili industriali offrono un bersaglio perfetto: posseduti per oltre la metà da persone giuridiche (società ed enti non commerciali), hanno una rendita catastale mediamente 20 volte superiore a quella delle case e – messi tutti insieme – arrivano a una rendita pari a quella delle abitazioni principali, circa 10 miliardi di euro.