Quando ad un contribuente viene recapitata una cartella di pagamento, magari di importo rilevante, e risulta essere sbagliata, o addirittura vengono richieste somme già pagate con un ravvedimento fatto di recente, è bene muoversi con estrema tempestività. Il contribuente che vuole contestare il contenuto e la somma da pagare scritta nella cartella di pagamento può infatti avvalersi dell’autotutela che è uno strumento utile sia per l’Amministrazione finanziaria, sia per il contribuente in quanto si possono in questo modo effettuare delle verifiche ed evitare che il contenzioso si protragga nelle sedi opportune con conseguente spreco di tempo e di risorse a carico delle parti in gioco. Con l’autotutela, infatti, il contribuente, con una semplicissima domanda in carta semplice, può presentare l’istanza all’ufficio competente segnalando l’atto per il quale si richiede l’annullamento e, soprattutto, i motivi per i quali il contribuente chiede l’annullamento della cartella.
A sostegno delle tesi presentate, il contribuente è obbligato a presentare tutta la documentazione necessaria per permettere all’Amministrazione finanziaria di verificare effettivamente che c’è stato un errore e che quindi si può procedere all’annullamento, in tutto o in parte, dell’atto di riscossione. Nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria dovesse rigettare l’istanza, non tutto è perduto; infatti, il contribuente ha ancora la possibilità di fare ricorso entro i termini di scadenza della cartella di pagamento, a seconda dei casi, presso il Giudice di Pace o presso la Commissione Provinciale Tributaria.
Siccome l’istanza non sospende l’esecutività dell’atto associato alla cartella di pagamento, è bene che il contribuente, oltre a presentare immediatamente l’istanza di autotutela, provveda comunque a presentare ricorso anche nel caso in cui entro il termine di scadenza della cartella non arrivi da parte dell’Amministrazione finanziaria alcuna risposta sull’accettazione o sul respingimento dell’istanza presentata.
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