La cedolare secca, sebbene non abbia avuto molto appeal, rimane comune un utile strumento per abbattere la tassazione per i proprietari di immobili. In particolare la cosiddetta tassa piatta potrebbe essere un utile strumento per chi affitta ed è costretto a fare i conti con Imu e Tares, la nuova tassa sui rifiuti.
La circolare 26/E del 2011 stabilisce che la cedolare secca è applicabile nel caso in cui il proprietario dell’immobile è una persona fisica e l’affittuario è un privato. La locazione deve essere di tipo abitativo e pertanto sono esclusi dal novero le locazioni di negozi, botteghe, banche, ecc. Nonostante tali tipo di limitazioni la tassa piatta resta comunque un’ottima opportunità per quanto vogliano tentare di risparmiare sui proventi dell’affitto, visto che occorre versare all’erario solo il 19 o il 21 per cento a seconda che il contratto sia di tipo agevolato o meno.
Tuttavia, alla luce dei dati disponibili, la cedolare secca ha in parte deluso le aspettative visto che dei circa 4 miliardi di euro preventivati sono stati incassati appena 900 milioni di euro. I motivi per cui si rischia il flop sono molteplici: innanzitutto perché la procedura di adesione alla cedolare secca è apparsa in prima battuta molto farraginosa e chi aveva dei vantaggi rischiava di perderli a causa del mancato aggiornamento del canone Istat.
Tuttavia le nuove regole in materia di tassazione ordinaria dei contratti di affitto potrebbero rilanciare la cedolare secca. Infatti a partire da quest’anno i proprietari di immobili vedranno diminuire la deduzione forfettaria riconosciuta, si passa infatti dal 15 al 5 %. I proprietari pagheranno quindi le tasse sul 95 % del reddito dichiarato in caso di canone libero e sul 66,5 % (in luogo del 59,5 %) nel caso di canone concordato. Proprio questi ultimi, i canoni concordati, sono quelli più vessati dall’introduzione della nuova Imu (a conti fatti si passa infatti da un’ ICI che incideva sull’1 % del valore ad un’IMU di circa il 6 %).