Tassare i mercati degli strumenti derivati: è questo il sogno proibito e, volendo esagerare, il pensiero costante di molti economisti. La Tobin Tax, la tassa da applicare sulle transazioni finanziari, ha sollevato numerose polemiche nei vari stati membri dell’Unione Europea (vedi anche Trading penalizzato da crisi e tobin tax), ma le discussioni simili riguardano anche altri aspetti. In particolare, si sta facendo strada la proposta di Bart Chilton, il quale fa parte della Commodity Futures Trading Commission, l’autorità che si occupa di controllare gli scambi regolari sulle borse a termine degli Stati Uniti.
A suo dire, infatti, si potrebbe lanciare una tassa che venga applicata sulle transazioni strettamente legate ai derivati, vale a dire quei contratti che hanno un sottostante ben preciso, come ad esempio le valute e le materie prime (il tipico esempio è quello dei contratti futures, ma ve ne sono molti altri). In territorio americano non si è mai discusso con grande convinzione di tale idea, ma comunque qualche dibattito saltuario c’è stato negli anni passati. Chilton è ora convinto che non si possa più attendere e che sia necessario fare sul serio.
L’ipotesi è quella di una imposta pari a sei centesimi di dollari per ogni singola transazione finanziaria. Con un rapido calcolo, si possono immaginare circa trecento milioni di dollari l’anno, un gettito interessante e in grado di venire incontro alle urgenze del budget della stessa commissione. Un altro obiettivo che verrebbe ottenuto, poi, è quello di una minore intensità per quel che riguarda gli scambi lanciati e annullati nel giro di frazioni di secondo (il cosiddetto high frequency trading). La tassa di Chilton prevede anche delle esenzioni molto precise, nello specifico per coloro che sfruttano futures e derivati per mettersi al riparo dai movimenti imprevisti dei prezzi. La tassa d’uso proposta dal presidente Obama potrebbe essere a questo punto una valida alleata nel concretizzare tutto questo.