Le azioni di classe, o class action che dir si voglia, si stanno diffondendo a macchia d’olio nel nostro paese: una iniziativa interessante che ha a che fare con questo strumento riguarda una tassa che ogni anno gli studenti dell’Università romana della Sapienza devono pagare, vale a dire il tributo che grava sulla verifica dei requisiti (vedi anche Università La Sapienza: rettore propone zero tasse per studenti meritevoli). Di cosa si tratta esattamente? Questo tributo si riferisce alle matricole che, una volta terminato il corso di laurea triennale, vogliono iscriversi ai corsi magistrali.
Ebbene, prima dell’immatricolazione vera e propria, l’ateneo capitolino valuta i requisiti che sono richiesti per tale accesso, un accertamento utile per capire se le conoscenze acquisite sono effettivamente assimilate. Tutto ciò, però, viene a costare dieci euro, un balzello obbligatorio anche per coloro che sono già immatricolati alla Sapienza. Questo vuol dire che oltre alle normale tassa di immatricolazione si aggiunge un ulteriore esborso finanziario. Ecco perché il sindacato universitario Udu (Unione degli Universitari) ha promosso la class action in questione, una procedura legale che potrebbe risultare cara per l’università romana.
Il confronto con altri casi in Italia fa ancora più innervosire, in quanto è spesso sufficiente un semplice messaggio di posta elettronica che va a confermare questi requisiti. Il sospetto che si tratti di un metodo come un altro per rimpinguare le casse della Sapienza sta crescendo, in particolare a causa della poca utilità di un procedimento come questo. Secondo il Rettorato, comunque, si tratta di una verifica che è prevista espressamente per legge e in quanto tale collegata a dei costi ben precisi. Magari si può pensare che la spesa da sostenere non è poi così alta, ma in fondo ogni piccola somma contribuisce a un totale sempre più alto. Nel caso di accoglimento della procedura in tribunale, la metà delle somme restituite sarà usata per organizzare nuove borse di studio.