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Controlli su Google e profit shifting

 Si moltiplicano i controlli fiscali sui grandi gruppi internazionali da parte delle agenzie dei vari Stati europei. In Italia ha destato un certo scalpore il controllo svolto dalla Guardia di Finanza su Google nell’anno 2007. Dall’ispezione eseguita da parte delle fiamme gialle è stato infatti appurato che negli anni compresi tra il 2002 ed il 2006 il colosso di Mountain View non ha dichiarato redditi per circa 240 milioni di euro e non ha versato Iva per circa 96 milioni di euro. Google Italia, ricordiamo, ha chiuso il bilancio 2011 in attivo registrando utili per circa 1,52 milioni di euro. I ricavi, pari a circa 44 milioni di euro, sono stati per lo più servizi resi alla Casa madre in Usa o ad altri filiali europee (come ad esempio quella Irlandese).
Le fiamme gialle contestano al gigante del web proprio un sistema di dirottamento di utili e ricavi verso paesi che hanno una fiscalità di favore. Google dal canto suo ha già ribadito la propria estraneità ai rilievi mossi, dichiarando che la società rispetta le leggi fiscali di ogni paese ove ha una sede. La Gdf sostiene al contrario che la sede italiana di Google, “google srl”, configuri una stabile organizzazione della casa madre americana e pertanto la quota di valore imponibile da assoggettare a tassazione deve essere portata in aumento.
Contro tali fenomeni, denominati di profit shifting, non solo l’Italia, ma anche Francia, Germania ed altri stati europei stanno tentando di porre rimedio. Tuttavia i singoli Stati possono fare ben poco e pertanto nell’ambito Ocse si studia una norma che possa essere usata anche per le doppie imposizioni. In contemporanea la Commissione europea sta inoltre definendo un piano di azione in merito alla tassazione dei paradisi fiscali e la pianificazione aggressiva da adottare entro la fine del 2012 in modo da proporla al Consiglio nel primo semestre (semestre nel quale la presidenza sarà affidata all’Irlanda).

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