Tributi speciali: il nome sembra piuttosto semplice, ma in realtà racchiude in sé una serie di contributi e prestazioni tributarie che possono ricollegarsi e allo stesso tempo distaccarsi dalla nozione vera e propria di imposta (vedi anche Ungheria: una tassa speciale per le case farmaceutiche). Si tratta di un concorso sotto forma di denaro alle spese dell’ente, con la differenza, rispetto alla stessa imposta, di un prelievo che viene fissato a carico di ogni singolo contribuente, il tutto in base al vantaggio che questo soggetto può ottenere da una attività amministrativa che è svolta nell’interesse della collettività.
Questo vuol dire che la spesa sostenuta dall’ente di cui si sta parlando e il vantaggio in questione devono essere collegati tra di loro. Qualche esempio? Si possono citare i contributi che un tempo si pagavano per le migliorie realizzate dai comuni in relazione alle opere pubbliche o ai servizi: in questo caso, si fa riferimento a un testo normativo ben preciso, vale a dire la Legge numero 246 del 1963 (“Istituzione di una imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili; modificazioni al testo unico per la finanza locale”). In aggiunta, non si può dimenticare che il termine “tributo speciale” viene assegnato anche alle somme di denaro che sono pagate come compenso per quei servizi che vengono resi al pubblico dal personale del Ministero delle Finanze.
In pratica, è ciò che viene stabilito dal Dpr 648 del 1972 (“Norme concernenti i servizi ed il personale delle abolite imposte di consumo”) e dalla Legge 734 del 1973 (“Concessione di un assegno perequativo ai dipendenti civili dello Stato e soppressione di indennità particolari”). Classici casi di questo tipo sono le amministrazioni periferiche delle imposte dirette, delle tasse e anche delle imposte indirette sugli affari e del catasto. Bisogna ricordare, in conclusione, che le somme in favore dei fondi previdenziali sono ripartire in proporzione al numero dei soggetti iscritti a ogni singolo fondo.