Il peso di fisco e contributi sul totale dell’economia è aumentato in quattro anni di quasi 2 punti percentuali. Ora si registra il 43,5% del Pil e in mancanza di una robusta riduzione del carico fiscale si arriverebbe nel 2016 a quota 44,1 per cento.
Un dato, quello della pressione fiscale, fondamentale per i confronti internazionali, che sconta in maniera triste in Italia un eccesso di prelievo per effetto dell’alta evasione, ma che è utile vivisezionare. In poche parole è altresì importante analizzare la distribuzione del prelievo nel mix tra tasse e contributi, nonché la suddivisione tra le diverse categorie di imposte per basi imponibili omogenee.
Quali tagli alle tasse possono essere considerati «favorevoli alla crescita», per mutuare il linguaggio in uso a Bruxelles? Di certo un piano di tagli va proiettato su un orizzonte quanto meno triennale: prima le tasse sulla casa, nelle intenzioni del Governo, poi quelle sulle imprese e infine sui redditi.
Un quadro delle possibili priorità è offerto sia dalla composizione del prelievo sia dal confronto internazionale. Come mettono in luce i dati Ocse elaborati dall’Ufficio studi della Confcommercio, il totale delle imposte sui redditi, profitti e capital gains vede l’Italia attestata al 14,2% del Pil, contro il 10,9% della Francia, l’11,4% della Germania e il 9,6% della Spagna.