I cittadini danesi che possono dirsi realmente in sovrappeso od obesi non sono poi tantissimi, soltanto il 10% dell’intera popolazione: eppure il governo di Copenaghen ha deciso di introdurre una misura fiscale che si rivolge proprio a loro, una tassa che va a colpire per l’appunto i grassi saturi del cibo. Vi sono due obiettivi, uno maggiormente “di facciata”, vale a dire la tutela della salute delle persone, mentre il secondo è più squisitamente economico e mira a rimpolpare le entrate dell’erario, dato che la “fat tax” dovrebbe essere in grado di garantire un gettito tributario pari a duecento milioni di euro. Il debutto ufficiale è avvenuto proprio nel corso della giornata di ieri, una data storica anche perché una imposta simile è stata ipotizzata in molti altri paesi (in primis gli Stati Uniti), ma mai applicata nel concreto.
Ma qual è il funzionamento esatto di questa innovazione? La spesa degli scandinavi in questione sarà molto più cara, dopo che alcune ricerche mediche e scientifiche hanno messo in luce come molte morti premature siano da imputare proprio ai grassi saturi. Di conseguenza, il tributo viene applicato a quei cibi che sono venduti senza far troppo caso alla provenienza, ma l’unico aspetto importante è rappresentato dal contenuto di acidi grassi saturi. In pratica, è quest’ultimo dato a subire l’imposizione fiscale.
Non è difficile immaginare gli esempi principali: prodotti come gli oli, i latticini e il burro dovranno fare i conti d’ora in poi con l’aliquota scelta dalla Danimarca, ovvero sedici corone (2,15 euro) per ogni chilogrammo, nel caso il cui l’alimento esaminato presenti più di 2,3 punti percentuali di grasso. Questo vuol dire che una confezione di burro costerà il 30% in più, mentre l’olio d’oliva subirà un rincaro pari a oltre sette punti percentuali. Le previsioni che si conoscono per il momento parlando di una riduzione dei consumi pari al 10-15%.