In più di una classifica europea l’Italia primeggia, ma si tratta spesso e (mal) volentieri di record negativi. Tra questi campeggia quello di evasione dell’Iva e non c’è assolutamente niente di cui vantarsi. Un record evidente, sotto gli occhi di tutti, che pesa in maniera massiccia sui conti pubblici.
Nella fattispecie, pesa per 36,9 miliardi di euro. Si tratta di una cifra enorme, più di tre volte superiore la quella flessibilità il Presidente del Consiglio Matteo Renzi desidera chiedere a Bruxelles per il 2017. A ben vedere, il problema è piuttosto diffuso tra i Paesi Ue, e la Commissione ha calcolato nel 2014 una perdita pari a 159,5 miliardi di euro. Tuttavia tra le differenze tra Stato e Stato sono enormi. In Svezia, per esempio, l’evasione non si attesta oltre l’1,2% del totale. Mentre la maglia nera spetta alla Romania in termini di percentuale (37,89% di evasione) e all’Italia in termini assoluti. Numeri a dir poco «inaccettabili» secondo il commissario europeo agli Affari Economici Pierre Moscovici.
Pertanto la Commissione ha rinnovato l’invito agli Stati a seguire il piano Ue per armonizzare i vari sistemi nazionali e per la creazione di un’area Iva comune, presentato lo scorso aprile. Uno schema che permetterebbe di abbattere le differenze per gli acquisti transfrontalieri e che, secondo la Commissione, renderebbe più difficile farla franca. Il tasso italiano di evasione Iva è del 27,55%, dati peggiori si registrano solo in Grecia (27,99%), Lituania (36,84%), Malta (35,32%), Romania (37,89%) e Slovacchia (29,97%). Il tasso medio di evasione nell’Ue è invece del 14,03%. L’unica, magra, consolazione è che rispetto al 2013 qualche piccolo passo avanti è stato fatto in Italia (il tasso era del 29,27%, pari a 37,87 miliardi di euro). Ma quasi una fattura (o uno scontrino) su tre resta invisibile.