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Frodi: detrazione dell’Iva possibile se il contribuente è estraneo

 La sentenza 1364 che la Corte di Cassazione ha pubblicato esattamente una settimana fa può rappresentare un importante svolta per quei contribuenti che si trovano coinvolti, a loro insaputa, nelle frodi al fisco: in effetti, la conclusione principale della pronuncia è che quei soggetti che usano delle fatture per delle operazioni inesistenti, hanno la possibilità di sfruttare la detrazione dell’Iva, ma solo nel caso in cui si riesca a dimostrare la mancata conoscenza dell’evento illegale. La sentenza della Suprema Corte si è resa necessaria dopo un processo di constatazione della Guardia di Finanza nei confronti di una società, la quale veniva accusata di aver partecipato a frodi fiscali di stampo criminale, realizzate soprattutto attraverso fatture false e operazioni commerciali “fantasma”: in base a queste disposizioni, la stessa società si vedeva notificare una rettifica dell’Imposta sul Valore Aggiunto, operazione con cui accertare venti milioni di euro indebiti.


Il ricorso in sede di Commissione Tributaria Provinciale è stato rigettato a causa del collegamento tra indetraibilità tributaria ed operazioni illegali, ma l’appello ha poi ribaltato tutto, visto che gli acquisti erano stati correlati da bolle di accompagnamento e fatture fiscali; è nata proprio da qui l’ipotesi di un coinvolgimento in modo inconscio nel meccanismo della frode. Lo stallo è continuato per diverso tempo, anche perché si è dovuto provare che gli indizi di prova fossero deboli e non certi come asserito dalla commissione.

Il ricorso alla Cassazione è stato posto in essere dall’Agenzia delle Entrate, pronta a sostenere l’esclusione della detrazione per le operazioni tributarie inesistenti, l’esclusiva dimostrazione dell’estraneità da parte del contribuente, la mancata correlazione tra detraibilità e versamento dell’Iva indicata in fattura e l’insussistenza della constatazione dell’inconsapevolezza del contribuente stesso. La Corte ha deciso in favore di quest’ultimo, basandosi sui precedenti giurisprudenziali del 2003 e del 2004, rilevando comunque che spetta ad esso l’onere di dimostrare la mancata colpevolezza a causa della sua ignoranza della frode.