Algeria e Giordania sono due nazioni piuttosto vicine in questo momento, soprattutto se si effettua un ragionamento prettamente tributario: in effetti, gli stati in questione sono accomunati da un utilizzo strategico della cosiddetta “leva fiscale”, la quale può consentire di affrontare in maniera migliore la crisi finanziaria, oltre al rincaro di materie prime, generi alimentari e quant’altro. Si tratta di un indicatore dell’intensità della politica fiscale adottata, calcolato attraverso la misura dell’impatto della stessa sul livello del reddito. Ebbene, i governi di Algeri e di Amman hanno pensato bene di sfruttare a fondo tale opportunità, visto che le tensioni sociali e politiche continuano a riempire le loro piazze. Partendo dalla nazione africana, c’è da dire che di fronte all’incremento delle tariffe di beni come olio e farina si è intervenuti sospendendo i diritti doganali, le tasse e i tributi relativi a olio e zucchero, una misura che rimarrà in vigore almeno fino al prossimo 31 agosto.
Ciò dovrebbe consentire di stabilizzare l’intero sistema economico, calmierando i settori più a rischio. Lo stesso discorso vale anche per il regno asiatico; il re Abdallah deve fronteggiare proteste molto simili a quelle che hanno infiammato le città tunisine ed egiziane di recente e un modo per calmare il popolo potrebbe essere quello di varare degli appositi provvedimenti volti a rendere meno opprimente la pressione fiscale per quel che concerne il cibo e i carburanti.
Entrando maggiormente nel dettaglio, verrà ridotto il prezzo del cherosene e si cancellerà la tassa speciale sull’energia (cinque punti percentuali in meno), ma soprattutto si interverrà con giudizio sul comparto petrolifero, uno dei più strategici del paese, dato che la Giordania importa greggio a prezzi ridotti dall’Arabia Saudita. I ministri delle Finanze si sono comunque detti sicuri che una leva fiscale di queste proporzioni non possa incidere negativamente sul debito pubblico, in entrambi i casi piuttosto consistente.