L’Imposta Regionale sulle Attività Produttive colpisce il valore della produzione netto delle imprese ossia il prodotto (il totale dei ricavi) al lordo dei costi per il personale e degli oneri e dei proventi di natura finanziaria. L’Irap diventa un peso insostenibile per le imprese ad alta intensità di lavoro con un carico fiscale complessivo che arriva a superare l’80%. Il dato emerge dall’ultima indagine dell’ufficio studi di Mediobanca, “Dati cumulativi di 2025 società italiane”, relativo al secondo semestre 2010, periodo che ha visto solo piccoli miglioramenti rispetto al primo semestre: le aziende italiane siano riuscite a risollevarsi dalla crisi recuperando i due terzi dei margini persi lo scorso anno. Nell’analisi però vengono citati esempi di aziende che anche in perdita sono costrette a pagare l’imposta.
La relazione inoltre segnala un forte calo dell’occupazione, al 9% (senza considerare Cig e Cigs in scadenza). Le imprese considerate nell’indagine sono state ordinate in base all’incidenza del costo del lavoro sull’utile ante imposte e poi raggruppate in 6 classi aventi la stessa dimensione in termini di volume di valore aggiunto.
La penalizzazione delle medie imprese – si legge nell’analisi dei “Dati cumulativi di 2025 imprese“- é riconducibile essenzialmente al maggior peso dell’Irap che costituisce un importo pari al 41% dell’Ires, contro il 31-33% dei gruppi maggiori. La ragione risiede nella maggior quota di valore aggiunto assorbita dai costi di lavoro: 63% per le medie imprese, 47% per i gruppi maggiori.
Quello che ne emerge – continua l’analisi – e’ che la pressione aumenta con l’aumentare dell’importanza del fattore lavoro e diminuisce al crescere della quota dei profitti sul valore aggiunto. La classe di imprese che presenta l’aliquota ‘percepita’ piu’ favorevole (18,5%) distribuisce il proprio valore aggiunto per meno di un quarto al lavoro e per i due terzi ai profitti, mentre nella classe piu’ svantaggiata la quota del lavoro supera l’80% e quella dei profitti e’ poco sopra un decimo.