Si parla molto in questi giorni di Irap e di una sua possibile abolizione o, al massimo, progressiva riduzione: si tratta di una soluzione già cercata in passato dai vari governi, la quale si è contraddistinta per i numerosi aspetti controversi. In effetti, ogni proposta in questo senso ha visto la netta opposizione da parte delle imprese ed è stata costellata da diverse vicende giudiziarie. Già nella legge 80 del 2003 (la cosiddetta “legge delega Tremonti”) si parlò di abolizione progressiva dell’imposta: tra l’altro, l’Irap era stata introdotta da pochi anni, avendo sostituito a partire dal 1998 sette imposte preesistenti, ma già doveva fare i conti con questa difficoltà. Nel 2001, inoltre, la Corte Costituzionale aveva dovuto esprimere il proprio parere in merito alla legittimità del tributo. In sostanza, si può parlare, in quell’occasione, di un “salvataggio in corner” per l’Irap, visto che fu richiesto per gli autonomi il riscontro dell’autonoma organizzazione per essere soggetti ad essa.
Questa sentenza ha provocato comunque una vera e propria ondata di ricorsi alle commissioni tributarie. Un altro momento giudiziario importante per l’Irap si è avuto di fronte alla Corte di giustizia delle comunità europee, quando, nonostante due pareri negativi, vi fu la conferma della legittimità dell’imposta. Tornando al 2003, la Finanziaria di quell’anno aveva previsto una riduzione del gettito, anche se la previsione riguardava una somma pari a 500 milioni di euro, vale a dire un’abolizione fin troppo lenta. Anche il governo Prodi, nel 2006, pensò a questa soluzione: ne sono testimonianza la riduzione del cuneo fiscale e la riduzione dell’aliquota nominale fino al 3,9%.
L’esecutivo attualmente in carica ha anche previsto una deduzione del 10% dell’imposta regionale sulle attività produttive dall’imponibile Ires: bisogna comunque dire che, per il momento, con la comparsa del regime dei contribuenti minimi parte del gettito è stato ridotta, ma i ritmi di abolizione appaiono ancora troppo lenti.
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