La comunicazione col Fisco è da sempre un elemento fondamentale e imprescindibile: tale fattore è ora stato ancor più evidenziato da una sentenza della Corte di Cassazione (la 11548 dello scorso 19 maggio), la quale ha espressamente disposto che un socio che esce da una compagine aziendale è tenuto a pagare imposte, interessi e sanzioni nel caso non abbia comunicato all’Amministrazione Finanziaria la propria uscita dalla società. In questo caso, poi, a tale soggetto non è nemmeno consentito effettuare una rivalsa nei confronti della stessa azienda che lo ha inserito nella dichiarazione dei redditi anche dopo l’allontanamento. La sentenza della Cassazione si riferiva al caso di una richiesta di risarcimento proposta da un agente assicurativo verso un suo ex socio. Non è stato dunque possibile accettare la domanda di risarcimento del danno per l’erronea comunicazione dei dati fiscali: il Fisco ha precisato di non essere a conoscenza della cessazione dell’attività del soggetto, ed ha quindi ritenuto non fedele la dichiarazione di quest’ultimo, che aveva dichiarato un reddito nettamente inferiore. L’onere di comunicare all’Amministrazione la conclusione del rapporto di lavoro spettava solamente al socio, insieme all’impugnazione dell’erroneo accertamento del Fisco.
La Corte ha ritenuto il ricorso infondato. Pur precisando che i redditi della società devono essere imputati in maniera esclusiva al contribuente che risulti socio nel momento in cui viene approvato il rendiconto, in proporzione ovviamente alla sua quota di partecipazione, e non anche al socio uscente, la Cassazione ha utilizzato quanto disposto nel Dpr 600 del 1973 (Accertamento delle imposte sui redditi): in base a tale legge, si può provvedere alla rettifica, nel caso in cui gli elementi della dichiarazione siano incompleti, falsi o inesatti.
Ma non esiste causalità tra comportamento dell’ex socio e accertamento del Fisco, visto l’onere sopracitato di comunicazione dello stesso contribuente (in tal senso, l’articolo 1227 del codice civile spiega proprio che “il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando la normale diligenza”).