L’obiettivo condiviso nelle proposte di riforma pensioni che si sono alternate in questi ultimi mesi di dibattito sul sistema previdenziale è quello di assicurare maggiore flessibilità in uscita, oltrepassando i limiti e il rigidismo della Legge Fornero.
Malgrado ciò il problema che ha portato alla bocciatura forzata di diverse proposte di riforma pensioni sulla carta potenzialmente buone, è stato quello della copertura finanziaria. E’ la ben nota questione della coperta troppo corta. Sul punto Enrico Morando, sottosegretario all’Economia, intervistato in merito ai prossimi sviluppi della riforma delle pensioni prima della Legge di Stabilità, è stato chiaro: il governo può aprire a misure volte ad aumentare la flessibilità dei lavoratori in uscita ma solo a patto di non gravare ulteriormente sulle casse dello Stato.
Ma come è possibile una riforma delle pensioni a costo zero? Il paragone con gli altri Stati mostra che, fatta eccezione della Grecia, l’Italia è il Paese europeo con la spesa maggiore per le pensioni e al contempo uno di quelli che eroga meno in sussidi di disoccupazione e politiche di riduzione delle tasse sulla casa.
Impossibile quindi chiedere allo Stato di investire ancora nella riforma delle pensioni in termini economici: la flessibilità in uscita, non da negare a priori, deve però essere in grado di autofinanziarsi mediante vie alternative. Chi punta alla pensione anticipata, in altre parole, devo farlo a spese poche. Per Morando nello specifico che si tratti di prestiti previdenziali o di decurtazione sull’assegno Inps in base all’adeguamento alle aspettative di vita poco conta: l’importante è che si tratti di una misura neutra per le casse dello Stato.