Il rimborso iva e la tassa sui rifiuti

 La sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2009 ha finalmente chiarito la natura giuridica della Tariffa di igiene ambientale (Tia), affermandone il carattere tributario e pertanto la non assoggettabilità all’Iva del 10%. In seguito alla sentenza è così sorto il diritto, per il cittadino, al rimborso delle somme indebitamente pagate (limitato alle fatture degli ultimi 10 anni).

Se negli anni scorsi quindi il vostro Comune vi ha fatto pagare l’Iva sulla tasssa rifiuti (Tarsu o Tia), innanzitutto controllate subito sulle fatture: se il vostro Comune ha incassato l’Iva sulla tassa rifiuti, chiedete il rimborso spedendo una raccomandata con le copie delle fatture che riportano l’Iva e con una domanda di restituzione, citando la sentenza di cui sopra.

La Corte Costituzionale inquadra la Tia come tributo

 La sentenza 238 del 2009 pubblicata dalla Corte Costituzionale si è rivelata molto importante per chiarire alcune fondamentali questioni dal punto di vista tributario. In effetti, si è anzitutto venuti a capo della complicata vicenda legata all’inquadramento giuridico della Tia, la Tariffa di igiene ambientale introdotta dodici anni fa dal cosiddetto “Decreto Ronchi” (per la precisione si tratta del D.lgs 22/1997); sostanzialmente, dalla sentenza della Consulta emerge come la tariffa in questione abbia una vera e propria natura tributaria. Ci troviamo di fronte a una conclusione essenziale per quel che concerne questa tassa, la quale, progettata per sostituire la vecchia Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu), ha invece avuto un cammino travagliato, tanto che al giorno d’oggi solamente 1.200 comuni in Italia hanno effettuato il passaggio. Cosa c’era che non andava con la Tia? Pur presentando elementi di continuità con la Tarsu, la Tariffa di igiene ambientale aveva anche novità che spingevano ad optare per la sua natura privatistica.

 

Secondo la Consulta l’Irap non è un’imposta incostituzionale

 L’Irap ha ottenuto un importante riconoscimento da parte della Corte Costituzionale: l’ordinanza della Consulta è giunta dopo due anni e mezzo di rinvii ed ha sancito la piena legittimità dell’imposta regionale sulle attività produttive. La decisione è arrivata dopo che nel corso degli anni erano giunte numerose censure da parte di molte commissioni tributarie (soprattutto quelle di Genova e Bologna), le quali avevano messo in discussione il fatto che l’Irap fosse indeducibile ai fini delle imposte dell’Erario, ragionando in un’ottica di proporzionalità del prelievo alla reale capacità contributiva. La situazione è stata, per così dire, sanata dalla recente messa a punto di alcune novità legislative, che hanno in parte modificato il quadro normativo in cui le stesse commissioni avevano messo in dubbio la correttezza costituzionale del tributo.

 

La Consulta boccia le leggi regionali sostanziali inerenti l’Irap

 La Corte Costituzionale è intervenuta in merito alle leggi regionali che contengono delle disposizioni di tipo sostanziale e che si riferiscono all’Irap: la sentenza numero 216 di due giorni fa, in proposito, ha ribadito che leggi di questo tipo devono essere considerate illegittime dal punto di vista costituzionale. Per essere più precisi, l’intervento della Consulta è giunto a seguito del ricorso messo in atto dall’amministrazione statale per quel che concerneva appunto la legittimità della legge della Regione Piemonte numero 12 del 2008 (si tratta sostanzialmente della Legge finanziaria per il 2008). Come viene precisato nella sentenza, quando si va determinare la base imponibile per il calcolo dell’imposta regionale sulle attività produttive, si devono escludere tutti quei contributi della regione che sono stati erogati in riferimento al piano casa regionale cosiddetto “10.000 alloggi per il 2012”: c’è da ricordare che questo piano è stato approvato con una delibera del Consiglio Regionale del 2006.

 

La Consulta dice la sua sulla tariffa di igiene ambientale

 È arrivato finalmente il turno della Corte Costituzionale nell’ambito della questione giuridica riguardante la Tia (Tariffa di igiene ambientale): la Consulta dovrà infatti pronunciarsi sul decreto 546/1992, il quale all’articolo 2 devolve alle commissioni tributarie la competenza per dirimere le controversie concernenti il canone per lo smaltimento dei rifiuti urbani. È proprio questa norma a rappresentare la vera chiave interpretativa di questa particolare tariffa, che, ad esempio, non viene richiamata in alcun modo da altre leggi come il famoso “decreto Ronchi” (22/1997): la Suprema corte ha basato le proprie convinzioni in materia facendo riferimento a questo specifico articolo. Ma nel 2008 la Corte Costituzionale è andata contro questa interpretazione, riconoscendo l’illegittimità ai principi della Costituzione da parte norma in due punti, nello specifico la devoluzione alle commissioni tributarie delle controversie sul canone e le sanzioni degli uffici finanziari anche nei casi in cui esse stesse siano una conseguenza di violazioni di disposizioni non tributarie.

 

Torna la tassa depurazione (anche per chi non ne usufruisce)

 Forse qualcuno potrebbe stentare a crederci, ma in Italia ormai nulla é impossibile. Dopo la tassa sui morti (da pagare ovviamente non dai diretti interessati ma dagli eredi), torna la tassa sulla fognatura anche per le abitazioni non collegate ai depuratori. Usufruite del servizio? Ok, dovete pagarla. Non ne usufruite? Pagate lo stesso. La tassa sulla fognatura torna ad essere obbligatoria anche per chi non usufruisce del servizio di depurazione. Lo ha recentemente stabilito un decreto legge dei ministeri dell’Ambiente e del Tesoro.

In passato era stata cancellata da una sentenza della Corte costituzionale: erano tenuti a versare il canone solo i cittadini con un’abitazione collegata ad un impianto di trattamento. La norma torna quindi alla ribaltaa e impone ai cittadini l’obbligo di pagare il costo della depurazione anche se non c’è il servizio.