No di Bruxelles e Via Nazionale all’abolizione della Tasi, prevista dal Governo Renzi per il prossimo anno. Un no ‘pesante’, che tuttavia non condiziona il Premier.
La Tassa sui servizi indivisibili dei Comuni porta nelle casse dello Stato 3,5 miliardi di euro, lo 0,21% del Pil, ma che di fatto per le fasce più deboli della popolazione, pari al 31% dei contribuenti, era già stata cancellata. I numeri dell’Agenzia dell’Entrate lasciano poco spazio all’immaginazione: al netto degli esentati, il 30% più “povero” paga il 10,9% della Tasi (381 milioni di euro); il 30% più ricco versa il 54,9% (1,92 miliardi). Insomma se il bonus di 80 euro è stato senza dubbio di sostegno alle fasce più deboli, il taglio delle imposte sulla prima casa assomiglia piuttosto a un favore nei confronti dei contribuenti più facoltosi. Soprattutto dopo il naufragio della riforma del Catasto che – con la rimodulazione della rendite – avrebbe dovuto garantire un Fisco più equo.
D’altro canto sarebbe sufficiente ricordare che l’abolizione delle tasse sulla casa era uno dei cavalli dei battaglia del Pdl durante la campagna elettorale del 2013. E in molti avevano criticato la scelta del Pd – allora guidato da Pierluigi Bersani – di seguire il centrodestra sul suo stesso territorio. Addirittura, nel dicembre 2013, con il cambio di segreteria, il Partito democratico prendeva posizione sul tema con il responsabile economico, Filippo Taddei che diceva: “Il Pd non può passare più tempo a parlare dell’Imu che del Fisco. L’importo medio dell’imposta sulla casa era di 250 euro l’anno, parliamo di 20 euro al mese, senza dimenticare che le fasce più deboli erano già esentate”.
Il parere degli esperti? E’ il seguente:
Gli effetti della promessa del governo non sono certo passati inosservati a Bruxelles dove il mese prossimo inizierà l’esame della manovra finanziaria italiana. Ufficialmente non è arrivato alcun commento, ma è chiaro l’Unione europea non ha intenzione di appoggiare il taglio di Tasi e Imu, perché ritiene più urgente agire sull’Irpef e sulle tasse sul lavoro. Un punto di vista condiviso anche dalla Corte dei Conti e da Bankitalia che continuano a inviare segnali d’allarme al governo.