Non sono ancora terminate le discussioni in merito alla cosiddetta “tassa di soggiorno”: il Comune di Roma ha già quantificato i possibili ricavi che potranno essere ottenuti grazie a questo specifico tributo, circa 71,30 milioni di euro che andranno a rimpinguare le casse del Campidoglio e che sono già stati inseriti prontamente nella manovra di bilancio relativa a quest’anno. Il sindaco Gianni Alemanno e l’assessore Carmine Lamanda sono stati i promotori di questo importante annuncio. In realtà, bisogna precisare che le modalità e i termini di applicazione della tassa in questione non hanno ancora una definizione ben precisa, si può dire se ne conosce con certezza soltanto la denominazione ufficiale. Il riferimento normativo principale è però il decreto attuativo del Federalismo Municipale, il quale fa intendere che l’imposta verrà ad essere inserita nella forma più congeniale per i sindaci e le municipalità.
La tassa turistica, comunque, può essere configurata come una sorta di contributo che viene imposto appunto ai turisti che giungono nelle città italiane: il quantitativo in denaro è variabile e si va da un minimo di 40-50 centesimi fino ai cinque euro, ovviamente tutto andrà a dipendere da come è classificato l’alloggio in cui pernotteranno, somme che si riferiscono a ogni singola notte nelle strutture coinvolte.
Tra l’altro, si era parlato nei mesi scorsi di un’applicazione soltanto nei capoluoghi di provincia, ma poi il tutto è stato allargato ai centri che vantano una vocazione turistica. Se Roma già si mette a fare i conti, c’è anche chi va contro la soluzione tributaria: Nivardo Panzavolta, sindaco di Cesenatico, si è infatti scagliato contro la tassa, ritenuta un vero e proprio danno al settore turistico, dato che andrebbe a penalizzare chi viene in vacanza nel nostro paese e gli imprenditori. Insomma, tra fautori e detrattori, l’imposta continua a vivere dei momenti altalenanti, nonostante sia una realtà ben conformata e sviluppata nel resto del continente europeo.
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