Figlio legittimo e figlio naturale: quali punti di contatto vi sono dal punto di vista fiscale per quel che riguarda l’erogazione dell’assegno periodico per il mantenimento? Come stabilisce espressamente la nostra Costituzione, è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio (si tratta del primo comma dell’articolo 30 per la precisione). Questo vuol dire che i genitori stessi hanno una responsabilità ben precisa per quel che riguarda la loro prole, sia quella naturale che quella legittima. Pertanto, distinzioni di sorta non possono essere fatte, nemmeno in ambito tributario.
In aggiunta, non bisogna dimenticare due fondamentali articoli del codice civile, utili in questo senso, il numero 147 e il 148. Nel primo caso, si fa riferimento ai doveri verso i figli, mentre nel secondo al concorso negli oneri; ebbene, queste norme sono poi richiamate da una successiva, l’articolo 261, quello dedicato ai diritti e ai doveri che derivano al genitore dal riconoscimento. In pratica, come è abbastanza noto, è necessario garantire ai figli naturali quegli stessi identici obblighi cui si è soggetti nel rapporto di filiazione legittima.
Spostando l’attenzione sul versante tributario, c’è da dire che il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir) prevede che sia escluso dalla base imponibile del soggetto l’importo degli assegni periodici che sono destinati proprio al mantenimento dei figli e che è di spettanza del coniuge a causa della separazione legale o dell’annullamento degli effetti civili del matrimonio. Ogni singola misura, poi, viene stabilita a discrezione dell’autorità giudiziaria. Non è possibile, inoltre, dedurre dal reddito del soggetto che eroga questi stessi assegni periodici, sempre in conseguenza di separazioni o divorzi. Pertanto, il trattamento fiscale che è previsto in tali situazioni si applica sia nel caso dei figli naturali che di quelli legittimi, come ha stabilito anche la nostra amministrazione finanziaria in una circolare che risale al 2011.