I campioni omaggio dei più svariati prodotti commerciali sono messi a disposizione soprattutto da farmacie e profumerie, ma non solo. La vendita di un bene di questo tipo, in particolare quando il valore economico non è poi molto alto, può anche non essere soggetta all’Imposta sul Valore Aggiunto, ma occorre rispettare determinati requisiti. In particolare, il contribuente può chiedersi se è sufficiente o meno la presenza di una etichetta, come accade nella maggior parte dei casi, che rechi la dicitura “campione omaggio”.
Questi campioncini gratuiti e di prova non sono altro che beni da far rientrare nelle attività di impresa: il loro scopo è quello di migliorare la promozione della vendita dei prodotti stessi, sfruttando al massimo la propaganda pubblicitaria, ma l’utilizzo viene esteso anche ai controlli di qualità dei beni in questione. La vendita di campioni gratuiti non viene in nessun caso considerata come una operazione di cessione di beni, come si può intuire piuttosto facilmente dalla lettura del Decreto Iva (il Dpr 633 del 1972 per la precisione): questo vuol dire che non bisogna mai applicare l’imposta, ma solo nel caso in cui il valore economico è modico ed esiste un apposito contrassegno, due elementi che non possono mai mancare.
Tra l’altro, lo stesso contrassegno deve essere indelebile, così da scongiurare qualsiasi commercializzazione successiva, ma anche per evitare le manovre di ostacolo alla concorrenza. Un altro utile riferimento è quello di una risoluzione di nove anni fa della nostra amministrazione finanziaria. In effetti, nel 2003 l’Agenzia delle Entrate ha stabilito che il contrassegno non può essere una etichetta autoadesiva che indica semplice che si ha a che fare con un campione gratuito. Al contrario, esso può essere rappresentato da altre apposizioni, come quelle perfezionate attraverso la perforazione, la lacerazione e la marcatura indelebile, senza dimenticare tutti quegli altri procedimenti che sono considerati idonei allo scopo.