L’attuale situazione politica della Tunisia, come è ormai noto a tutti, non è delle migliori: ad aggravare questo quadro si è aggiunta dal carattere più prettamente economico, la quale ha messo in luce l’enorme disagio fiscale che sta vivendo la nazione africana. Secondo l’ultimo rapporto pubblicato dal Global Financial Integrity, infatti, il governo di Tunisi avrebbe perso addirittura 1,16 miliardi di dollari per quel che concerne il 2010 e i flussi di capitali illeciti. Le statistiche sono piuttosto eloquenti ed è emerso un calo netto dei capitali utili per il paese, i quali sono finiti all’estero e hanno gonfiato ancor di più il debito pubblico. L’evasione del fisco e il riciclaggio del denaro sono i due principali responsabili di questo disastro finanziario, come spesso accade nei casi di trasferimenti illeciti dei fondi.
Le entrate dell’amministrazione finanziaria tunisina sono costantemente in ribasso, una situazione che ormai perdura da almeno un decennio: il fisco nazionale non è in grado di contabilizzare in maniera corretta e accurata grandi somme di denaro, le quali poi, inevitabilmente, sono fuori controllo. I ricavi delle tasse nazionali vanno a confluire nei centri offshore per eccellenza, in primis Svizzera e Montecarlo, ma anche gli Emirati Arabi Uniti sono un grande catalizzatore in questo senso. C’è poi un’altra stima che rappresenta un allarme di primo piano, vale a dire i dieci miliardi di dollari che non sono stati dichiarati all’amministrazione e che sono stati ugualmente trasferiti nei paradisi fiscali dal 2000 ad oggi.
Un onere così pesante non può che riversarsi sui contribuenti della Tunisia: gli oltre dieci milioni di cittadini coinvolti sono infatti costretti a sopportare una pressione fiscale aggiuntiva di cento dollari pro-capite, un quantitativo che assume vaste proporzioni alla luce delle scarse risorse pubbliche e del deficit di bilancio del paese. Una revisione della contabilità e dei metodi utilizzati per il prelievo tributario è dunque urgente e più che mai necessaria.